Virginia Tango Piatti “Agar”    di Ada Donno

Virginia Tango Piatti “Agar”. Una vita per la pace. La vita, le opere, la corrispondenza: è il titolo completo di questo libro di Gigliola Tallone, pubblicato per le edizioni Transfinito, in cui è ricostruita la biografia di Virginia Tango, nom de plume Agar, nota per lo più come autrice di narrativa per ragazzi.

Così la conoscevo anch’io: mi era capitato di leggere qualche suo romanzo, pescato casualmente fra i libri vecchi di una bancarella di strada, letto con curiosità e subito annoverato con superficialità fra la “narrativa minore” del primo Novecento.

Finché, trovandomi ospite nella luminosa casa dei Tallone ad Alpignano, il discorso cade, ancora casualmente, sulla mia attività associativa nella Wilpf, la Women’s International League for Peace and Freedom, e vengo a sapere da Enrico e Maria Rosa che la loro cugina Gigliola sta scrivendo, o ha già scritto – ora non ricordo bene – la biografia di Agar, una loro prozia, che è stata fra le prime associate della Wilpf in Italia.

Una felice sorpresa per me. Ed ecco com’è che mi ritrovo fra le mani questo volume denso, dettagliato, e al tempo stesso di gradevolissima lettura, frutto di una paziente e accurata ricerca di prima mano cui Gigliola Tallone, pronipote in linea diretta della sorella di Agar, Eleonora, ha atteso per anni utilizzando in primis l’archivio di famiglia (ma allargandosi fino all’archivio centrale della Wilpf nel Colorado), che ci restituisce l’eccezionale e complessa figura di una donna che nel corso della sua lunga vita fu scrittrice e giornalista, poeta, critica d’arte, attivista della pace e antifascista.

Un’esposizione corredata da un ricchissimo apparato di note esplicative, ampia, piena di riferimenti “collaterali” di grande interesse storico e culturale, con molte finestre che s’aprono ad illuminare le trame relazionali e narrative da Agar tessute instancabilmente nella sua intensa vita di intellettuale, senza peraltro distoglierci dal racconto centrale e appassionato delle sue imprese d’arte, di pensiero e di scrittura.

Ma chi era Agar?

Virginia Tango, questo il suo nome da ragazza, nasce nel settembre del 1869 a Firenze da una famiglia agiata (il padre Vincenzo, di origini napoletane, al quale Virginia fu legatissima, è un funzionario della Corte dei Conti del neonato regno d’Italia). Quando Roma diventa capitale del regno, la famiglia Tango vi si trasferisce. Virginia studia presso un istituto di monache francesi, è un’abile pianista, mostra un innato talento per il disegno e la scultura, scrive copioni di piccole commedie da rappresentare in famiglia. La casa dei Tango è aperta non solo ai colleghi giuristi del padre, ma anche ad artisti e letterati. E naturalmente “si parla molto di politica”. Rimasta lei sola in famiglia dopo il matrimonio delle due sorelle, “assiste il padre e organizza le occasioni mondane di casa Tango”, durante le quali non è raro incontrare giovani intellettuali come Gabriele D’Annunzio, o Matilde Serao, amica intima delle sorelle Tango.

Della sua età giovanile Virginia narra in un libretto velatamente autobiografico del 1938, La fabbrica della felicità, edito da Barion, in cui raffigura se stessa nella protagonista Anna, descrivendosi così: “Non è bella ma simpatica. Piccina di statura, pallida e olivastra, con un volto mobile e sensitivo, ha gli occhi limpidi e fosforescenti […]. L’educazione rigida e all’antica ricevuta da un padre meridionale e da una mamma rimasta sempre sottomessa e un po’ bambina all’ombra del marito, l’avevano fatta rimanere incredibilmente ingenua e umile”. E, bisogna aggiungere, con una predisposizione insopprimibile alla cura materna degli altri, adulti e piccini, che resterà il suo segno distintivo per la vita. “Ancora adolescente, divenni la piccola madre adottiva, a turno, dei figli di due mie sorelle maggiori, prolifiche in modo eccezionale. Però questo, che prendeva tutto il mio tempo, m’interessò molto e mi diede gioia […]” scriverà più tardi, in un Curriculum Vitae da lei stessa redatto nel 1955, all’età di 86 anni.

Nello stesso curriculum si ricordano i primi timidi tentativi letterari: un “ingenuo romanzo” intitolato Le reliquie di un ignoto (che sarà ripubblicato molto più tardi col titolo La porta sbarrata), il manualetto L’Educazione della Gioia, che la stessa Virginia definisce “moralistico e ingenuo anch’esso”, una “rivistina” alla quale fu chiamata a collaborare, alcune poesie.

Durante l’estate i Tango si spostano da Roma ad Alpignano in Val di Susa, nella villa della madre, il “rifugio più amato dalla famiglia nei periodi di vacanza”, dove Virginia si trasferirà con la madre nel 1902, quando il padre viene a mancare improvvisamente.

E’ legatissima alle sorelle, ma particolarmente ad Eleonora, alla quale l’accomuna un certo innato anticonformismo (peraltro oggetto di qualche disapprovazione in ambito familiare).

Nella casa di Eleonora, sposata al pittore Cesare Tallone (che a Bergamo dirige dapprima la cattedra di pittura e del nudo dell’Accademia Carrara, e successivamente a Milano quella dell’accademia di Brera), Virginia trascorre lunghi periodi e respira quel “clima artistico vivissimo” e quell’aria anticonvenzionale che le aprono “nuove prospettive e nuovi entusiasmi” nei confronti dell’arte, argomento che sarà ricorrente nel suo futuro lavoro di giornalista. Frequenta la cerchia di intellettuali e artisti amici dei Tallone, fra i quali ci sono i fondatori del primo movimento socialista bergamasco e “quegli esponenti della borghesia milanese operosa e colta che hanno per scopo una società più giusta, che detestano le ipocrisie e pose affettate di chi vuole ben salde le barriere sociali”. Conosce fra gli altri Giuseppe Pellizza da Volpedo, allievo di Tallone, al quale dedicherà una poesia, alla sua tragica scomparsa nel 1907.

Qui incontra anche Antonio Piatti, pittore di riconosciuto talento ex allievo di Tallone, che avrebbe raggiunto la notorietà soprattutto coi suoi ritratti di Verdi, Mascagni e Giovanni Giolitti. Virginia e Antonio s’innamorano e si sposano nel 1905. Una convivenza difficile e di breve durata. Non potevano essere più diversi: lui egocentrico e avaro, collerico, prima interventista e accanito sostenitore dell’entrata in guerra dell’Italia, poi fascista fanatico; lei altruista e generosa, pacifista convinta e dalla mente aperta, antifascista fin dalla prima ora.

Nel suo Curriculum Virginia scriverà in proposito laconicamente: “Andata sposa con un pittore di talento, nervoso e attivissimo, fui presto costretta a separarmi da lui”. E aggiunge: “Su tale fatto, che ha attraversato la mia vita di donna, desidero non più parlare”.

Da Antonio Piatti, Virginia avrà quattro figli: alla primogenita Rosabianca seguiranno, a breve distanza uno dall’altro, due figli maschi che però vivranno solo pochi mesi. L’ultimo figlio Virginia lo darà alla luce diversi anni dopo, con una gravidanza tardiva seguita ad un ennesimo tentativo di riavvicinamento al marito, finito male.

Legata in qualche modo alle infelici vicende coniugali è la scelta di Virginia di adottare lo pseudonimo Agar. a partire dal 1911. Lo s’incontra per la prima volta in una sua poesia composta quell’anno: “Io sono Agar fuggente/dal suo signor negletta e abbandonata/ seguita da dolce creatura. / E’ la strada d’esilio ignota e inospite, /è la notte imminente…/ma non mi volgo indietro per la via / né di Sara mi punge gelosia…”. Il riferimento alla vicenda crudele, narrata nella Genesi, di Abramo che concepì con la giovane schiava Agar il figlio Ismaele, ma li scacciò entrambi da casa dopo che la moglie Sara diede alla luce Isacco, ed essi si ridussero a vagare nel deserto, contiene l’allusione palese ad una drammatica vicenda dai risvolti oscuri vissuta dalla stessa Virginia nella sua relazione coniugale: dopo la morte improvvisa del secondo figlio maschio, infatti, Virginia stessa viene scacciata dal marito, con la figlia Rosabianca di tre anni. Come per la biblica Agar, la vita di Virginia ne è sconvolta. Ma da quel momento, e facendo appello alla sua “innata fierezza”, decide che per il suo sostentamento conterà solo sulla propria “modesta attività nello scrivere”.

Nel periodo che segue, Virginia si sposta di frequente. In realtà l’intera sua vita è contrassegnata da continui spostamenti, da una casa ad un’altra, da una città ad un’altra, per non dire dei soggiorni all’estero più o meno durevoli. Anche se, in tutto questo peregrinare, resta il punto fermo di Alpignano, il costante nord di Virginia. E’ spinta da necessità di lavoro, o chiamata ad assistere un parente, o ad organizzare un’esposizione d’arte, o forse, chissà, da un’esigenza interiore di mettere un punto e a capo nella sua vita.

Non è comunque irresolutezza né irrequietudine, ma piuttosto l’irrinunciabile necessità di una donna dall’intelligenza nomade che sposta confini, ritesse trame relazionali e trasforma la vita femminile qual era tradizionalmente intesa.

Sono quelli gli anni in cui fioriscono ovunque i gruppi ed i club di donne che si battono per il suffragio femminile e per l’emancipazione. Fin dal 1899 è nata a Milano l’Unione Femminile Nazionale, e nel 1903 a Roma è stato fondato il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane. Fra le amicizie femminili delle sorelle Tango ci sono Neera, Ada Negri, Margherita Sarfatti e Sibilla Aleramo.

Virginia collabora continuativamente dal 1912 al 1918 alla rivista settimanale “Il Buon Consigliere”. Nei suoi articoli conferma e matura il suo pensiero pacifista, il rifiuto radicale delle armi e del militarismo, causa primaria della sofferenza umana. Il suo rifiuto dell’esaltazione eroistica arriva all’invettiva contro i capi militari che obbediscono a “un piccolo Dio che riconosce per i suoi figli, fra le povere creature da cannone che si massacrano l’una contro l’altra, senza conoscersi, solo quelle distinte da un’uniforme cara all’imperiale sguardo […]”.

Insiste sull’argomento dell’educazione dell’infanzia e sulle responsabilità degli educatori che devono saper guidare il bambino “a pensare col cervello proprio, avvicinando il suo spirito a tutte le verità della vita”. Precisa il suo pensiero sulla questione femminile: si dichiara “non femminista” e fortemente contraria alle “suffragette nefaste” e ai loro atteggiamenti provocatori. Come molte donne dell’élite intellettuale del suo tempo – così è per la maggior parte delle sue amiche del Lyceum Club – è più incline ad un’azione volta ad “aprire la mente femminile alla conoscenza della verità e della bontà della vita” e a “salvare le donne dal marchio ingiusto di un’inferiorità giuridica”. Al femminismo ad oltranza preferisce l’opera persuasiva che la donna può compiere per fermare l’orrore della guerra, perché – dice – nessuna donna può volere la morte dei propri figli.

La colta e attivissima Agar nel 1912 s’impegna contro la guerra di Libia e la campagna militare nell’Egeo, scrive a Filippo Turati incitandolo ad un’azione pacifista più decisa.

Mano a mano che il fragore della guerra s’avvicina, aderisce con crescente passione alla causa della pace. Non sa darsi ragione che ci siano pensatori, artisti e poeti – come i futuristi lacerbiani – che non stanno con “chi ragiona, chi resiste, chi si prodiga per lenire i grandi mali”. Non perdona a D’Annunzio e Annie Vivanti il loro interventismo e polemizza con gli intellettuali che incitano alla guerra: “Se tutti gli incitatori grandi e piccoli, prosatori e poeti, potessero sentirsi o venir chiamati responsabili, in questo difficile momento, delle loro parole e dei loro gesti, essi li pondererebbero meglio, li giudicherebbero a una stregua ben diversa”. La sua indignazione sfiora anche qui l’invettiva:“Sventurati quelli che portano ora nell’anima, palese o inconfessato, il dubbio di avere acceso nell’Europa civile questo fuoco che ha travolto a mille a mille le creature di Dio che giacciono insepolte, sui campi maledetti della guerra!”.

Collabora alla rivista fondata da Anna Kuliscioff La difesa delle lavoratrici, su cui già scrive Rosa Genoni, militante del Partito socialista e impegnata nel movimento pacifista internazionale.

Dal 1915 Virginia si trasferisce con i figli – nel frattempo è nato il piccolo Rori – a Firenze.

La nuova casa in via della Fornace 9 è sempre affollata di artisti e intellettuali, fra i quali ci sono Dino Campana e Sibilla Aleramo. Mentre continua la produzione letteraria, che spazia dalla narrativa alla poesia e al teatro – di quell’anno è il dramma L’Ispiratrice, scene della vita d’arte – presta servizio di assistenza ai reduci dal fronte ricoverati nell’ospedale della Croce Rossa. Di questa sua esperienza di volontariato tiene un diario, che pubblicherà nel 1919 col titolo Dal diario di un’infermiera.

Ma è soprattutto nell’attivismo pacifista che trova il canale collettore delle sue radicate convinzioni ed energie intellettuali presenti in lei fin dalla giovinezza. Di questi anni è il suo coinvolgimento attivo nel movimento pacifista internazionale e nella Wilpf, a cui in Italia hanno aderito già Rosa Genoni, Anita Dombelli, Isabella Grassi, Ida Vassalini, Maria Gioia.

Dal 1920 la sua casa fiorentina diventa sede del terzo gruppo italiano della Wilpf, dopo quelli nati a Milano e Roma. La stessa Virginia ne dà comunicazione alla segreteria di Ginevra, offrendosi di collaborare al giornale della Lega Pax International e aggiungendo a commento: “Poiché nel nostro paese, ahimè!, la sfera intellettuale femminile è generalmente d’un patriottismo nazionalista cieco, io credo giusto, per la causa dell’umanità intera, di riunire qui al più presto le nostre piccole forze. Spero di poter essere utile all’idea alla quale mi voglio votare tutta intera”.

Nel 1924 Ida Vassalini, ora coordinatrice del gruppo milanese, in procinto di partire per Washington dove si deve tenere il quarto congresso internazionale della Wilpf, rinuncia al viaggio per ragioni di salute. Agar si offre di sostituirla come delegata italiana al Congresso. Nel suo Curriculum ricorderà più tardi quel lungo viaggio e le “giornate indimenticabili”del congresso. Ha appuntamento a Parigi con le altre delegate europee, con le quali s’imbarcherà per l’America dalla Normandia: vi trova ad accoglierle anche Jane Addams, l’americana “grande benefattrice degli emigranti italiani”, fondatrice della Wilpf e futuro premio Nobel per la Pace. Virginia non sta nella pelle, è entusiasta di “questa Lega che riunisce donne di tutti i paesi le quali si oppongono per principio alla guerra tra Nazioni e ad ogni specie di violenza…”.

Né la fa desistere l’occhiuta sorveglianza della polizia fascista, che si fa sempre più stringente. Al suo ritorno in patria le viene requisito il passaporto, che le verrà restituito solo dopo molti anni. Ma già prima della sua partecipazione al congresso di Washington, la sua casa è stata perquisita dalla polizia politica che l’ha schedata come “sovversiva e pericolosa propagandista social comunista”.

Sul filo dei carteggi consultati con accuratezza da Gigliola Tallone, è possibile conoscere fin nei dettagli le vicissitudini che seguirono per Agar, le traversie, le difficoltà economiche ricorrenti, l’impossibilità di pubblicare i suoi scritti sulla stampa ormai sottomessa al regime, eppur con la volontà ostinata di scrivere, progettare, costruire trame di pace.

Riesce a realizzare una breve collaborazione – dal settembre 1924 al marzo 1925 – con la rivista Penelope edita dall’eccentrico Menotti Pampersi, grazie al quale può ancora dare notizia delle attività della Wilpf e del pacifismo internazionale. Allo stesso editore espone il suo progetto dei Quaderni della pace su cui intende pubblicare “le notizie senza spese spedite dalle altre pacifiste della mia Lega…”. Un progetto appassionatamente coltivato (“ciò che potrei chiamare l’imperativo categorico della mia esistenza di scrittrice, il suo scopo ultimo, sarebbe un quaderno mensile sui problemi della Pace […].”), che però non vedrà la luce per la sopravvenuta morte di Pampersi.

Nel luglio del 1926 Virginia decide, nonostante le avversità, di partecipare al quinto congresso della Wilpf che si tiene a Dublino. Non ha il passaporto, ma troverà il modo avventuroso di passare la frontiera, a costo di mettere a rischio la sua libertà e forse la sua vita (“Nessun’altra poteva andare e mi sono decisa”). Sarà l’ultima impresa che realizzerà per la Wilpf. E’ infatti sempre più difficile mantenere i contatti, la posta viene intercettata e scompare nei gorghi nella repressione fascista, ogni suo passo è sorvegliato. I lunghi silenzi fra lei e la segreteria internazionale di Ginevra, la mancanza di notizie reciproche logorano e alla fine spezzano il filo che l’ha tenuta avvinta con dedizione e passione alla sua Lega (l’ultima traccia di comunicazione è del 1932).

Virginia medita di lasciare l’Italia e per ottenere il passaporto ricorre ad uno stratagemma: accetta di occuparsi dell’organizzazione di alcune mostre che Antonio Piatti (da cui non si è mai legalmente separata) ha intenzione di tenere in Francia. Ottiene così il passaporto dietro garanzia del “fascistissimo” marito, persona gradita ai gerarchi del regime, e riesce a fuggire a Parigi. Continuerà a scrivere e a pubblicare i suoi articoli, i racconti, le poesie, le commedie, i romanzi e a vivere a lungo. La sua fede antifascista non la farà desistere di fronte a nessun rischio nel suo impegno a favore della resistenza italiana (sarà, fra le altre cose, il recapito parigino di Angelo Tasca e Carlo Rosselli e collaborerà alla stampa clandestina di Giustizia e Libertà), anche dopo il suo rientro in Italia, nel 1939. Verrà anche arrestata, nel 1943, per correità nella diffusione di manifestini di Italia libera e tradotta a Firenze, dove sconterà la sua pena alle Mantellate. Si sottoporrà perfino al disagio di un lungo internamento in un campo di rifugiati in Svizzera, per fare infine ritorno in Italia nel ’45, unica sopravvissuta dei fratelli Tango.

Morrà a Lugano il 1° luglio 1958, all’età di ottantanove anni. Grazie a Gigliola Tallone, che con la sua paziente preziosa ricerca ha illuminato un importante tratto della storia centenaria della Wilpf. E ha fatto sì che la luce di Virginia Tango Agar tornasse a brillare tra noi.

Ma chi era Agar? Annalisa Milani

Virginia Tango, questo il suo nome da ragazza, nasce nel settembre del 1869 a Firenze da una famiglia agiata (il padre Vincenzo, di origini napoletane, al quale Virginia fu legatissima, è un funzionario della Corte dei Conti del neonato regno d’Italia). Quando Roma diventa capitale del regno, la famiglia Tango vi si trasferisce. Virginia studia presso un istituto di monache francesi, è un’abile pianista, mostra un innato talento per il disegno e la scultura, scrive copioni di piccole commedie da rappresentare in famiglia. La casa dei Tango è aperta non solo ai colleghi giuristi del padre, ma anche ad artisti e letterati. E naturalmente “si parla molto di politica”. Rimasta lei sola in famiglia dopo il matrimonio delle due sorelle, “assiste il padre e organizza le occasioni mondane di casa Tango”, durante le quali non è raro incontrare giovani intellettuali come Gabriele D’Annunzio, o Matilde Serao, amica intima delle sorelle Tango.

]” scriverà più tardi, in un Curriculum Vitae da lei stessa redatto nel 1955, all’età di 86 anni.

Nel curriculum vitae ,da lei stessa redatto nel 1955,all’ età di 86 anni, Virginia ricorda i primi timidi tentativi letterari: un “ingenuo romanzo” intitolato Le reliquie di un ignoto (che sarà ripubblicato molto più tardi col titolo La porta sbarrata), il manualetto L’Educazione della Gioia, che la stessa Virginia definisce “moralistico e ingenuo anch’esso”, una “rivistina” alla quale fu chiamata a collaborare, alcune poesie.

Durante l’estate i Tango si spostano da Roma ad Alpignano in Val di Susa, nella villa della madre, il “rifugio più amato dalla famiglia nei periodi di vacanza”, dove Virginia si trasferirà con la madre nel 1902, quando il padre viene a mancare improvvisamente.

E’ legatissima alle sorelle, ma particolarmente ad Eleonora, alla quale l’accomuna un certo innato anticonformismo (peraltro oggetto di qualche disapprovazione in ambito familiare).

Nella casa di Eleonora, sposata al pittore Cesare Tallone (che a Bergamo dirige dapprima la cattedra di pittura e del nudo dell’Accademia Carrara, e successivamente a Milano quella dell’accademia di Brera), Virginia trascorre lunghi periodi e respira quel “clima artistico vivissimo” e quell’aria anticonvenzionale che le aprono “nuove prospettive e nuovi entusiasmi” nei confronti dell’arte, argomento che sarà ricorrente nel suo futuro lavoro di giornalista. Frequenta la cerchia di intellettuali e artisti amici dei Tallone, fra i quali ci sono i fondatori del primo movimento socialista bergamasco e “quegli esponenti della borghesia milanese operosa e colta che hanno per scopo una società più giusta, che detestano le ipocrisie e pose affettate di chi vuole ben salde le barriere sociali”. Conosce fra gli altri Giuseppe Pellizza da Volpedo, allievo di Tallone, al quale dedicherà una poesia, alla sua tragica scomparsa nel 1907.

Qui incontra anche Antonio Piatti, pittore di riconosciuto talento ex allievo di Tallone, che avrebbe raggiunto la notorietà soprattutto coi suoi ritratti di Verdi, Mascagni e Giovanni Giolitti. Virginia e Antonio s’innamorano e si sposano nel 1905. Una convivenza difficile e di breve durata. Non potevano essere più diversi: lui egocentrico e avaro, collerico, prima interventista e accanito sostenitore dell’entrata in guerra dell’Italia, poi fascista fanatico; lei altruista e generosa, pacifista convinta e dalla mente aperta, antifascista fin dalla prima ora.

Nel suo Curriculum Virginia scriverà in proposito laconicamente: “Andata sposa con un pittore di talento, nervoso e attivissimo, fui presto costretta a separarmi da lui”. E aggiunge: “Su tale fatto, che ha attraversato la mia vita di donna, desidero non più parlare”.

Da Antonio Piatti, Virginia avrà quattro figli: alla primogenita Rosabianca seguiranno, a breve distanza uno dall’altro, due figli maschi che però vivranno solo pochi mesi. L’ultimo figlio Virginia lo darà alla luce diversi anni dopo, con una gravidanza tardiva seguita ad un ennesimo tentativo di riavvicinamento al marito, finito male.

Legata in qualche modo alle infelici vicende coniugali è la scelta di Virginia di adottare lo pseudonimo Agar. a partire dal 1911. Lo s’incontra per la prima volta in una sua poesia composta quell’anno: “Io sono Agar fuggente/dal suo signor negletta e abbandonata/ seguita da dolce creatura. / E’ la strada d’esilio ignota e inospite, /è la notte imminente…/ma non mi volgo indietro per la via / né di Sara mi punge gelosia…”. Il riferimento alla vicenda crudele, narrata nella Genesi, di Abramo che concepì con la giovane schiava Agar il figlio Ismaele, ma li scacciò entrambi da casa dopo che la moglie Sara diede alla luce Isacco, ed essi si ridussero a vagare nel deserto, contiene l’allusione palese ad una drammatica vicenda dai risvolti oscuri vissuta dalla stessa Virginia nella sua relazione coniugale: dopo la morte improvvisa del secondo figlio maschio, infatti, Virginia stessa viene scacciata dal marito, con la figlia Rosabianca di tre anni. Come per la biblica Agar, la vita di Virginia ne è sconvolta. Ma da quel momento, e facendo appello alla sua “innata fierezza”, decide che per il suo sostentamento conterà solo sulla propria “modesta attività nello scrivere”.

Nel periodo che segue, Virginia si sposta di frequente. In realtà l’intera sua vita è contrassegnata da continui spostamenti, da una casa ad un’altra, da una città ad un’altra, per non dire dei soggiorni all’estero più o meno durevoli. Anche se, in tutto questo peregrinare, resta il punto fermo di Alpignano, il costante nord di Virginia. E’ spinta da necessità di lavoro, o chiamata ad assistere un parente, o ad organizzare un’esposizione d’arte, o forse, chissà, da un’esigenza interiore di mettere un punto e a capo nella sua vita.

Non è comunque irresolutezza né irrequietudine, ma piuttosto l’irrinunciabile necessità di una donna dall’intelligenza nomade che sposta confini, ritesse trame relazionali e trasforma la vita femminile qual era tradizionalmente intesa.

Sono quelli gli anni in cui fioriscono ovunque i gruppi ed i club di donne che si battono per il suffragio femminile e per l’emancipazione. Fin dal 1899 è nata a Milano l’Unione Femminile Nazionale, e nel 1903 a Roma è stato fondato il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane. Fra le amicizie femminili delle sorelle Tango ci sono Neera, Ada Negri, Margherita Sarfatti e Sibilla Aleramo.

Virginia collabora continuativamente dal 1912 al 1918 alla rivista settimanale “Il Buon Consigliere”. Nei suoi articoli conferma e matura il suo pensiero pacifista, il rifiuto radicale delle armi e del militarismo, causa primaria della sofferenza umana. Il suo rifiuto dell’esaltazione eroistica arriva all’invettiva contro i capi militari che obbediscono a “un piccolo Dio che riconosce per i suoi figli, fra le povere creature da cannone che si massacrano l’una contro l’altra, senza conoscersi, solo quelle distinte da un’uniforme cara all’imperiale sguardo […]”.

Insiste sull’argomento dell’educazione dell’infanzia e sulle responsabilità degli educatori che devono saper guidare il bambino “a pensare col cervello proprio, avvicinando il suo spirito a tutte le verità della vita”. Precisa il suo pensiero sulla questione femminile: si dichiara “non femminista” e fortemente contraria alle “suffragette nefaste” e ai loro atteggiamenti provocatori. Come molte donne dell’élite intellettuale del suo tempo – così è per la maggior parte delle sue amiche del Lyceum Club – è più incline ad un’azione volta ad “aprire la mente femminile alla conoscenza della verità e della bontà della vita” e a “salvare le donne dal marchio ingiusto di un’inferiorità giuridica”. Al femminismo ad oltranza preferisce l’opera persuasiva che la donna può compiere per fermare l’orrore della guerra, perché – dice – nessuna donna può volere la morte dei propri figli.

La colta e attivissima Agar nel 1912 s’impegna contro la guerra di Libia e la campagna militare nell’Egeo, scrive a Filippo Turati incitandolo ad un’azione pacifista più decisa.

Mano a mano che il fragore della guerra s’avvicina, aderisce con crescente passione alla causa della pace. Non sa darsi ragione che ci siano pensatori, artisti e poeti – come i futuristi lacerbiani – che non stanno con “chi ragiona, chi resiste, chi si prodiga per lenire i grandi mali”. Non perdona a D’Annunzio e Annie Vivanti il loro interventismo e polemizza con gli intellettuali che incitano alla guerra: “Se tutti gli incitatori grandi e piccoli, prosatori e poeti, potessero sentirsi o venir chiamati responsabili, in questo difficile momento, delle loro parole e dei loro gesti, essi li pondererebbero meglio, li giudicherebbero a una stregua ben diversa”. La sua indignazione sfiora anche qui l’invettiva:“Sventurati quelli che portano ora nell’anima, palese o inconfessato, il dubbio di avere acceso nell’Europa civile questo fuoco che ha travolto a mille a mille le creature di Dio che giacciono insepolte, sui campi maledetti della guerra!”.

Collabora alla rivista fondata da Anna Kuliscioff La difesa delle lavoratrici, su cui già scrive Rosa Genoni, militante del Partito socialista e impegnata nel movimento pacifista internazionale.

Dal 1915 Virginia si trasferisce con i figli – nel frattempo è nato il piccolo Rori – a Firenze.

La nuova casa in via della Fornace 9 è sempre affollata di artisti e intellettuali, fra i quali ci sono Dino Campana e Sibilla Aleramo. Mentre continua la produzione letteraria, che spazia dalla narrativa alla poesia e al teatro – di quell’anno è il dramma L’Ispiratrice, scene della vita d’arte – presta servizio di assistenza ai reduci dal fronte ricoverati nell’ospedale della Croce Rossa. Di questa sua esperienza di volontariato tiene un diario, che pubblicherà nel 1919 col titolo Dal diario di un’infermiera.

Ma è soprattutto nell’attivismo pacifista che trova il canale collettore delle sue radicate convinzioni ed energie intellettuali presenti in lei fin dalla giovinezza. Di questi anni è il suo coinvolgimento attivo nel movimento pacifista internazionale e nella Wilpf, a cui in Italia hanno aderito già Rosa Genoni, Anita Dombelli, Isabella Grassi, Ida Vassalini, Maria Gioia.

Dal 1920 la sua casa fiorentina diventa sede del terzo gruppo italiano della Wilpf, dopo quelli nati a Milano e Roma. La stessa Virginia ne dà comunicazione alla segreteria di Ginevra, offrendosi di collaborare al giornale della Lega Pax International e aggiungendo a commento: “Poiché nel nostro paese, ahimè!, la sfera intellettuale femminile è generalmente d’un patriottismo nazionalista cieco, io credo giusto, per la causa dell’umanità intera, di riunire qui al più presto le nostre piccole forze. Spero di poter essere utile all’idea alla quale mi voglio votare tutta intera”.

Nel 1924 Ida Vassalini, ora coordinatrice del gruppo milanese, in procinto di partire per Washington dove si deve tenere il quarto congresso internazionale della Wilpf, rinuncia al viaggio per ragioni di salute. Agar si offre di sostituirla come delegata italiana al Congresso. Nel suo Curriculum ricorderà più tardi quel lungo viaggio e le “giornate indimenticabili”del congresso. Ha appuntamento a Parigi con le altre delegate europee, con le quali s’imbarcherà per l’America dalla Normandia: vi trova ad accoglierle anche Jane Addams, l’americana “grande benefattrice degli emigranti italiani”, fondatrice della Wilpf e futuro premio Nobel per la Pace. Virginia non sta nella pelle, è entusiasta di “questa Lega che riunisce donne di tutti i paesi le quali si oppongono per principio alla guerra tra Nazioni e ad ogni specie di violenza…”.

Né la fa desistere l’occhiuta sorveglianza della polizia fascista, che si fa sempre più stringente. Al suo ritorno in patria le viene requisito il passaporto, che le verrà restituito solo dopo molti anni. Ma già prima della sua partecipazione al congresso di Washington, la sua casa è stata perquisita dalla polizia politica che l’ha schedata come “sovversiva e pericolosa propagandista social comunista”.

Sul filo dei carteggi consultati con accuratezza da Gigliola Tallone, è possibile conoscere fin nei dettagli le vicissitudini che seguirono per Agar, le traversie, le difficoltà economiche ricorrenti, l’impossibilità di pubblicare i suoi scritti sulla stampa ormai sottomessa al regime, eppur con la volontà ostinata di scrivere, progettare, costruire trame di pace.

Riesce a realizzare una breve collaborazione – dal settembre 1924 al marzo 1925 – con la rivista Penelope edita dall’eccentrico Menotti Pampersi, grazie al quale può ancora dare notizia delle attività della Wilpf e del pacifismo internazionale. Allo stesso editore espone il suo progetto dei Quaderni della pace su cui intende pubblicare “le notizie senza spese spedite dalle altre pacifiste della mia Lega…”. Un progetto appassionatamente coltivato (“ciò che potrei chiamare l’imperativo categorico della mia esistenza di scrittrice, il suo scopo ultimo, sarebbe un quaderno mensile sui problemi della Pace […].”), che però non vedrà la luce per la sopravvenuta morte di Pampersi.

Nel luglio del 1926 Virginia decide, nonostante le avversità, di partecipare al quinto congresso della Wilpf che si tiene a Dublino. Non ha il passaporto, ma troverà il modo avventuroso di passare la frontiera, a costo di mettere a rischio la sua libertà e forse la sua vita (“Nessun’altra poteva andare e mi sono decisa”). Sarà l’ultima impresa che realizzerà per la Wilpf. E’ infatti sempre più difficile mantenere i contatti, la posta viene intercettata e scompare nei gorghi nella repressione fascista, ogni suo passo è sorvegliato. I lunghi silenzi fra lei e la segreteria internazionale di Ginevra, la mancanza di notizie reciproche logorano e alla fine spezzano il filo che l’ha tenuta avvinta con dedizione e passione alla sua Lega (l’ultima traccia di comunicazione è del 1932).

Virginia medita di lasciare l’Italia e per ottenere il passaporto ricorre ad uno stratagemma: accetta di occuparsi dell’organizzazione di alcune mostre che Antonio Piatti (da cui non si è mai legalmente separata) ha intenzione di tenere in Francia. Ottiene così il passaporto dietro garanzia del “fascistissimo” marito, persona gradita ai gerarchi del regime, e riesce a fuggire a Parigi. Continuerà a scrivere e a pubblicare i suoi articoli, i racconti, le poesie, le commedie, i romanzi e a vivere a lungo. La sua fede antifascista non la farà desistere di fronte a nessun rischio nel suo impegno a favore della resistenza italiana (sarà, fra le altre cose, il recapito parigino di Angelo Tasca e Carlo Rosselli e collaborerà alla stampa clandestina di Giustizia e Libertà), anche dopo il suo rientro in Italia, nel 1939. Verrà anche arrestata, nel 1943, per correità nella diffusione di manifestini di Italia libera e tradotta a Firenze, dove sconterà la sua pena alle Mantellate. Si sottoporrà perfino al disagio di un lungo internamento in un campo di rifugiati in Svizzera, per fare infine ritorno in Italia nel ’45, unica sopravvissuta dei fratelli Tango.

Morrà a Lugano il 1° luglio 1958, all’età di ottantanove anni.